Quali sono le cose che più mi sorprendono? Le più comuni,
per lo più soggetti inanimati. Che cosa mi sorprende in esse?
Un quid che non conosco.
R. Musil,
L’artista non è mai morboso. L’artista può esprimere tutto.
O. Wilde
Pensare all’opera di Maria Teresa Guaschino significa riflettere sul senso stesso dell’arte. Nel momento in cui ci si trova di fronte a questi lavori emerge un qualcosa di torbido, di sentito, di profondo. Guaschino ci pone di fronte a una realtà che non ammette repliche, che si mostra in tutta la sua crudezza. Puntuali strumenti linguistici che le servono per esprimere la tragica specificità di una cultura che descrive i punti più oscuri dell’umano. La sua linea, i colori reali e allusivi, sempre più violenti, l’utilizzo di immagini simbolo che trasmettono un’idea di disfacimento e che ben testimoniano il disagio dell’artista di fronte a una quotidianità che non le appartiene.
Il suo mondo ha radici profonde, se non fosse che Guaschino (nonostante la sua passione per l’Espressionismo) tende a rifiutare particolari paternità artistiche, si potrebbe affermare che si sia formata nella poetica del romanticismo. Infatti, la sua tensione al superamento della pittura trova una soddisfacente risposta in una sostanziale spersonalizzazione dell’opera. Con la sua interpretazione dell’arte realizza delle miniature dense di materia immagini liricamente astratte, quasi surreali, fatte di frammenti di storia personale che sembrano perseguitarla come fantasmi malvagi. Sono esperienze forti che sfumano nella fantasia e nel sogno: bestiari inventati, forme amebiche e placentari, stazionano su fondali a metà strada tra il marino e il lunare, immersi in un’atmosfera irreale, resa fumante da filamenti che richiamano la produzione di Yves Tanguy.
Se fosse stata individuata alcuni anni fa, Guaschino avrebbe meritato ben altro destino. Il sentimento che esprime la sua arte è fortemente interiorizzato e espresso con cliché al limite della riconoscibilità. Sono paesaggi mentali, grovigli di materia organica che si rivelano allo sguardo nella loro essenza più cruda. Tutto è espressione di un’accentuata ipersensibilità, rivolta a quegli eventi che sconvolgono la vita delle persone, eventi “estremi” che sembrano non fare parte di questo mondo, reso sempre più sterile del tentativo di “abuso di potere” che l’uomo compie quotidianamente a danno di altri uomini.
Guaschino ha un percorso artistico tormentato, ma tutto sommato lineare. Insofferente a schemi o precetti, la sua pittura ha sempre tenacemente di esprimere una concezione del mondo. Come diceva Renato Birolli “l’artista non deve cercare linguaggi destinati a perire con la perdita del cifrario. Chi intende il senso delle cose giungerà a pensare o anche inventare direttamente le cose”. Sostituendo il temine “cose” con il termine “esseri umani”, si giunge a sfiorare il senso dell’attività di Guaschino, la quale dimostra un’attenzione particolare verso gli esseri umani che la sua arte esprime con i suoi mezzi.
La pittura di Guaschino va allora analizzata tenendone presente le diverse e eterogenee componenti che si amalgamano creativamente, in un discorso di autonomia che determina un risultato di grande valore estetico. Guaschino non ha potuto non prendere in considerazione lezioni sul grottesco e sul senso della morte derivanti da una tradizione che la trasforma in una rapsode antica. Su di esse si sono innestate rivisitazioni del surrealismo e dell’astrattismo materico.
La prima cosa che si nota osservando le tue opere è l’utilizzo di vari pigmenti con i quali riesci a ottenere degli effetti cromatici particolarmente vivi e dalla gamma molto estesa. Come ti è venuta l’esigenza di questa particolare scelta di materiali?
È l’ambiente della mia pratica di pittura. Non è il supporto a indicare le modalità di questa pratica. I materiali che uso sono quelli che conosco, alla base di un ragionamento che finisce per creare quello che voglio esprimere. Io non amo l’olio, mi dà fastidio l’odore di trementina. Forse per questo ho sviluppato delle scelte particolari. Ho adoperato la china, la tempera e una particolare pasta che è stata creata quando si usa come supporto il vetro. Mi piace la sua lucidità, e mi piace stenderla. È una bella sensazione.
E che cosa senti di esprimere?
Ancora una volta bisogna tornare alla mia pittura che procede su binari invisibili che si muovono attraverso equilibri interni. Mi sembra di esplorare un mondo. Non esiste un momento preparatorio. Seguo delle immagini che vivono dentro di me. Mi sembra di intuire qualcosa, come un ricordo che affiora, che tenta di scavalcare degli ostacoli e si mostra come qualcosa che riesco a percepire nelle sue linee essenziali e che poi si riempie di colore, di tempera, di inchiostro. Non posso dire di avere un modo: ricerco elementi che sono nelle stesso tempo esterni e interni e che porto alla percezione fissando quell’attimo in cui mi sembrano più chiari e visibili. Qualcuno mi ha detto che io non so adoperare i colori, qualcuno che ho tradito il disegno per usare la materia. Io esprimo quello che sento
Ciò che componi è allora l’esplicitazione di un “paesaggio mentale”. Da quali avvenimenti è dominato? Che cosa resta di quegli avvenimenti?
Credo di essere stata segnata da avvenimenti che risalgono alla mia giovinezza. Quando c’era la guerra avevo poco più di dieci anni e vidi l’orrore dei corpi dilaniati, del sangue. Tutto il mio mondo era andato in frantumi, e questa situazione continua a vivere con me. Io non descrivo la natura, io guardo l’uomo, anche quando disegnavo le prostitute dei carrugi di Genova, donne che sentivo randagie, come i gatti e i cani. Non c’è un intento moralista nel mio lavoro. Io guardo e annoto senza giudicare.
Nella tua pittura si colgono diverse influenze culturali. Quali autori ti hanno influenzata maggiormente?
Credo che mi abbiano sempre affascinato le linee di Schiele e i colori di Nolde. C’è qualcosa dell’Espressionismo che si è radicato in me e che continua presentarsi con il mio lavoro. In ogni caso è difficile individuare una sola componente creativa. Dopo aver visto le figure di El Greco ho cominciato a assottigliare i corpi e a dare loro quella particolare caratteristica che identifica il mio modo di interpretare l’uomo.
Qual è la cosa cui Maria Teresa Guaschino non potrebbe rinunciare?
La mia vita è stata lunga, ho vissuto a Torino, a Casale e adesso in questa casa di Popolo (un sobborgo di Casale). Non mi interessa che cosa dicono gli altri, possono giudicarmi come vogliono. Ma io qui sono libera, non ho nessuno che mi imponga di fare o non fare qualcosa. Vivo con i miei gatti – e non ne ho mai dipinto uno! – in uno spazio che è tutto, ma veramente tutto: casa, magazzino, studio, insomma ciò che sono io.